martedì 7 aprile 2009

Elite relazionali (o net-élite)

II CAPITALISMO SI VEDE DALLE ÉLITE

Di Carlo Carboni
Il Sole 24 Ore del 4 aprile 2009

Le analisi riguardanti le cause dell'attuale crisi convergono nell'imputarle alle degenerazioni del turbo capitalismo a trazione finanziaria e tecnologica manifestatesi negli ultimi anni (per Bastasin, si veda Il Sole 24 Ore del 25 febbraio scorso, il 2004 è stato «l'anno galeotto») e alla «superclasse» che lo pilotava (D. J. Rothkopf, Superclass. La nuova élite globale e il mondo che sta realizzando), composta non solo da grandi magnati del capitalismo multinazionale, ma sempre più da top Ceo della Finanza e delle banche, editori e direttori di testate influenti, politici e statisti, professori ed esponenti della cultura di fama mondiale. Questi gruppi - minoranze elitarie emergenti nell'ultimo ventennio - hanno in comune il fatto che il loro successo dipende dalle reti di relazioni di cui dispongono: sono élite di networking.

Un tempo per essere potenti occorreva essere élite per nascita, mentre oggi per essere élite occorre essere potenti e le net-élite hanno dimostrato di esserlo. Esse sono state, in effetti, le vestali del capitalismo globale. Tuttavia, la crisi attuale le ha messe con le spalle al muro, inchiodandole alle loro responsabilità, soprattutto per via di quella loro propensione a usare reti di relazioni per imporre la loro influenza. Vocate alla leadership, le net-élite sarebbero accusate di aver discrezionalmente, se non arbitrariamente, eluso regole degli Stati e dei mercati o di averne surrogato 1'assenza con pratiche di capitalismo relazionale: Bernard Madoff è l'icona negativa ed estrema della relazionalità spinta fino alla cinica frode finanziaria.

Tuttavia, oggi il capitalismo relazionale presenta due facce. La prima, positiva, meno esplorata, ha il profilo della relazionalità di qualità, che è indispensabile per élite pluraliste e moderne. Non solo le élite, ma anche la società ha mostrato di essere molto sensibile agli "ultrapoteri" forniti dalle tecnologie per aumentare le opportunità di relazionalità e comunicazione. Gran parte delle nostre attività dipende dal nostro senso di connessione e di relazione ed è ovvio che questo sia vero a maggior ragione per gli alti cerchi del potere.
C’è dunque un high concept della capacity relazionale e di connessione in quanto abilità metodologica, interdisciplinare, che può giocare un ruolo molto positivo nella capacità di trasformare abilità in risorse.
Il professore universitario di successo, ad esempio, ha in genere molte relazioni di lungo raggio con i suoi colleghi, ma anche con autorità politiche, con protagonisti dell'informazione e, sempre più spesso, con manager. La possibilità di interscambio, di conseguenza è elevata tra le net-élite; opinion makers che diventano deputati, manager che entrano in politica, ma anche politici che entrano nel mondo degli affari. C'è però una faccia negativa del capitalismo relazionale, un low concept che lo vede come un fenomeno che inquina la competizione, ad esempio all'interno di una grande azienda (con relazioni amicali, parentali ecc.), ma anche come un fenomeno che inquina la corporate governance e rende spesso le grandi società di fatto non contendibili (grazie all'incrocio tra piramidi societarie e patti di sindacato come denunciato in Italia dall'indagine dell'Agcm, 2009).

Le manifestazioni degenerative del capitalismo relazionale possono assumere le sembianze del crony capitalism che secondo la nota immagine di Burton W.Folsom (The Myth of the Robber Barons) crea un ceto di imprenditori politici, da distinguere da quelli che si confrontano sul mercato senza particolari aiuti statali e che sono imprenditori di mercato. Crony capitalism indica quindi un inquinamento collusivo delle rispettive sfere di competenza, condito da favoritismi amicali, cetuali e nepotismi, non solo in economia, ma in molte attività in cui di fatto latita la competizione che viene surrogata dall'esistenza di gruppi ristretti tra loro collegati in networking con relazioni personali e di lobbying.

Robert Reich, discutendo dello stato precario della democrazia nel mondo globale (Supercapitalismo, 2008), ha sottolineato la crescita esponenziale delle attività di lobbying negli States nell’ultimo ventennio. Essa si è accompagnata con una marcata finanziarizzazione della politica (campagne elettorali sempre più costose) che ha di fatto favorito la discrezionalità e l'autoreferenzialità espresse dalle valutazioni e dalle decisioni di moral hazard prese da Ceo apicali, punto focale dell'attuale crisi finanziaria.

Come evitare le forme degenerative di relazionalità? Nelle società contemporanee e complesse non è semplice, anche perchè il capitalismo relazionale conosce, ad esempio in Europa, diverse interpretazioni e manifestazioni nei vari paesi. Tuttavia, una ricetta generale ci sarebbe: il ripristino di un'effettiva circolazione delle élite darebbe grande beneficio a un rinnovamento di cui si sente il bisogno nel mondo globale e nelle singole nazioni; infatti, meno un personaggio ristagna nella sua funzione dirigente e meno probabili sono sedimentazioni relazionali negative, come nei casi di prassi cetuali, di clientelismo, favoritismi personali e nepotismo.

Al capitalismo relazionale che produce aristocrazie e discrezionalità, va contrapposto non lo statalismo, che è in parte cultura di quel sistema, ma il diritto e l’assunzione di responsabilità e di nuove regole. Il sistema ritroverà fiducia con la ripresa economica, ma, soprattutto, se i cittadini di questo mondo globale avranno la percezione di un rinnovamento morale e sociale degli alti circoli del potere, anche per regolare i poteri emergenti di relazione.

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